Accendere la rivoluzione, spegnendo le paure. La macchina nella progettazione grafica

Gianluca Camillini, Facoltà di Design e Arti, Libera Università di Bolzano, gianluca.camillini@unibz.it

Ambizioni di ieri

L’interesse di artisti e poeti rivolto verso le macchine iniziò alla fine della seconda rivoluzione industriale, un periodo storico caratterizzato dall’incremento della produzione e da innovazioni tecnologiche che portarono a un maggiore sviluppo economico, specialmente in Europa occidentale. Questo fervore coinvolse anche le arti e le avanguardie artistiche, in particolare quella futurista, imbevuta del culto della macchina.1

Tra i vari scritti futuristi di ode alla macchina, di seguito sono presi in considerazione due manifesti: Per una società di protezione delle macchine e Vita simultanea futurista, entrambi redatti nel 1927 da Fedele Azari2: nel primo, Azari afferma che “la macchina ha arricchito la nostra vita […] ha distrutto le distanze, ha aumentato il nostro tenore di vita […] ci redimerà dalla schiavitù del lavoro manuale ed eliminerà definitivamente la povertà e quindi la lotta di classe”; l’artista poi definisce la macchina come “essere vivente”, cioè pensante e dotata della capacità di articolare pensieri propri, anticipando l’odierno sviluppo delle intelligenze artificiali (Azari, 1927a, 1 – figura 1). Nel secondo manifesto, Azari introduce il concetto di “simultaneità” come condizione essenziale e imprescindibile della vita moderna alla luce della “esasperante lentezza cui siamo tuttora condannati […] e del desiderio di prolungare la nostra esistenza vivendo sempre più intensamente” (Azari, 1927b, 1 – figura 2). Benché entrambi i manifesti suggeriscano che l’efficienza delle macchine avrebbe migliorato le nostre vite, Azari riteneva che la struttura corporea dell’essere umano fosse ancora troppo primitiva per sconfiggere il tempo (Camillini, 2024).3

Dalle celebrazioni futuriste in forma poetica e profetica, la macchina ritornò protagonista – e non solo in maniera teorica, ma bensì come strumento che avrebbe rivoluzionato la pratica della progettazione – alcune decadi più tardi, precisamente nel 1984, con l’omonimo spot pubblicitario della Apple Inc., attraverso il quale fu presentato il personal computer Macintosh.

Diretto da Ridley Scott4, lo spot è ambientato in uno scenario futuristico-distopico dalle tonalità cianotiche con riferimenti diretti al romanzo 1984 di George Orwell. In questo paesaggio industriale, persone in fila marciano all’unisono in un tunnel sotto la sorveglianza di telecamere. D’improvviso un’eroina entra in scena per salvarle dalla schiavitù che sembra affliggerle; la protagonista, indossando una divisa da atletica e una maglietta con il logo Apple stilizzato (figura 3), corre reggendo un grosso martello mentre è inseguita da guardie con manganelli e uniformi antisommossa che coprono i loro volti. Le scene della corsa della protagonista si alternano con quelle della folla omologata che marcia verso una sala, dove su un grande schermo è proiettato il volto in primo piano di un uomo, un chiaro riferimento al Grande Fratello orwelliano, intento a tenere un discorso dai toni tipici dei totalitarismi del Novecento.5 L’eroina, ormai raggiunto lo schermo, scaglia il martello contro di esso con un urlo liberatorio, poco prima di essere raggiunta dalle guardie. Il martello colpisce lo schermo distruggendolo mentre il Grande Fratello annuncia “We shall prevail!”, producendo un’esplosione di luce e fumo che travolge la folla attonita. A questa scena segue lo slogan conclusivo: “Il 24 gennaio Apple introdurrà Macintosh. E capirete perché il 1984 non sarà come «1984»”6 (Scott, 1984). Lo spot presenta Apple Inc. come una forza minore in grado di contrastare il predominio dei dittatori e di chiunque rappresenti un accentramento di potere, con probabile riferimento a IBM che in quel periodo stava monopolizzando il mercato dei personal computer.

Paure di ieri e di oggi

L’enfasi e il ritmo della pubblicità sembrano introdurre uno strumento senza precedenti: in effetti la progettazione grafica fu tra le prime industrie creative a essere stravolta dall’introduzione della macchina, grazie alla quale si sono potute (ri)considerare e condensare decine di strumenti, professionalità e competenze differenti.

Tale impatto rivoluzionario fu sondato a 5 anni dal lancio del personal computer Apple, nel 1989, con la pubblicazione dell’undicesimo numero di Emigre7 “Ambition/Fear: Graphic Designers and the Macintosh Computer” (Ambizioni/Paure: i progettisti grafici e il computer Macintosh), il cui titolo ha ispirato questo testo. La rivista consisteva in quindici interviste condotte da Zuzana Licko e Rudy VanderLans ad altrettanti esponenti della grafica internazionale – tra gli altri, Erik Spiekermann, April Greiman, Philippe Apeloig, Matthew Carter. Lo scopo del numero era quello di capire l’effetto del Macintosh sui grafici, sia da un punto di vista formale-estetico che metodologico, combinando le aspirazioni moderniste che quelle post-moderne. I contributi raccolti offrirono una panoramica dello stato dell’arte dell’epoca su quella che Licko e VanderLans definiscono come “una grande incognita” (a great big unknown), cioè il rapporto tra i progettisti e il personal computer come piattaforma di progettazione (Licko e VanderLans, 1989, 1).

Tra le testimonianze è interessante quella di Aad Van Dommelen (Proforma) che a proposito del computer come strumento democratico che potesse mettere a rischio la professione e le professionalità dei progettisti rispose:8 “Tutti possono progettare grafiche con il computer, ma questo non li rende grafici. In generale, non vedo un grosso problema.”9 (Van Dommelen in Licko e VanderLans, 1989, 15).

Partendo da questa risposta, e analizzando tutto “Ambition/Fear”, è possibile fare un parallelo tra l’avvento della grafica digitale di fine anni ’80 e la condizione presente di incessante sviluppo delle intelligenze artificiali – da qui in poi “AI” (Artificial Intelligence) – trovando riscontro su molteplici aspetti: il primo corrisponde allo spaesamento, ma anche all’entusiasmo alternato al rigetto, che si prova quando si è chiamati a confrontarsi con una nuova tecnologia sconosciuta, ieri con il computer, come oggi con l’AI.

La seconda similitudine tra passato e presente risiede nella conoscenza e nella competenza che uno strumento non può, o almeno non del tutto, non considerare. L’introduzione del computer ha permesso di semplificare i processi di progettazione, come ad esempio quello di impaginare un materiale stampato, tanto quanto l’AI ha reso possibile la creazione di un’immagine da zero, ma questo espediente non elude la conoscenza necessaria delle regole di gerarchia tipografica e di impaginazione dei contenuti, al pari di quelle della composizione e del taglio di un’immagine o di un’illustrazione.

Un esempio recente di immagine creata da un amatore è The Pope Drip: l’immagine di Benedetto XVI con un noto modello di piumino addosso (figura 4): inizialmente scambiata per una fotografia autentica, è stata realizzata combinando svariate immagini già presenti sulla rete sia del pontefice che dell’indumento.

Tralasciando la valenza formale e la qualità compositiva, l’immagine è diventata immediatamente virale e ha raggiunto migliaia di condivisioni in rete nel giro di poche ore; Pablo Xavier, l’autore intervistato da la Repubblica, è un operaio edile che ha iniziato a sperimentare con l’AI per ottenere nuovi ritratti del fratello recentemente scomparso nel tentativo colmare il vuoto lasciato dal lutto familiare. Preso dall’impeto creativo, “dopo aver assunto funghi allucinogeni [a Xavier] è venuta un’idea: fare il Papa. E da quel momento è stato un fiume in piena: il Papa con un piumino Balenciaga, con un Moncler, che passeggia per le strade di Roma e Parigi. Cose di questo tipo…” (Xavier in Pisa, 2023, np). Seppur Xavier non abbia più realizzato immagini che abbiano raggiunto una tale risonanza mediatica, questo breve estratto dell’intervista pone l’accento sulla definitiva democratizzazione del processo di produzione delle immagini, in quanto l’AI permette all’utente non alfabetizzato di arte o fotografia di ottenere con successo immagini estremamente definite.

Infine, emerge un’altra, forse più rilevante, questione condivisa – quella dell’estetica – sia essa digitale che artificiale. Sebbene nell’introduzione del numero Licko e VanderLans si guardino bene dal sostenere l’esistenza di un’estetica digitale – in quanto “non c’è nulla di intrinsecamente ‘computerizzato’ nelle immagini generate digitalmente”10 – le domande che rivolgono agli intervistati (e le risposte ricevute) suggeriscono il contrario: “Pensi che sia possibile creare un’estetica basata sulle limitazioni di una tecnologia, lasciando visibili alcune qualità intrinseche di essa, pur mantenendo uno stile individuale?”11, chiede VanderLans a Glenn Suokko; “E riguardo all’aspetto intrinseco del Macintosh, come ad esempio la resa a bassa risoluzione? Sarà parte di un nuovo linguaggio grafico?12 domanda a Jeffery Keedy; e infine “Vedo molti lavori che sono inequivocabilmente Macintosh, ma ciò non significa che siano necessariamente buoni lavori. C’è una rinascita di caratteri tipografici ridicolmente compressi che sono realizzati con il Macintosh. Il più delle volte li riconosci subito e, nel momento in cui qualcosa appare brutto, puoi star certo che è stato fatto usando il Macintosh”13 aggiunge Van Dommelen (Licko e VanderLans, ivi., 1, 4, 5, 11, 16).

L’espressione di un carattere estetico definito dallo strumento è un fattore valido tanto per le grafiche prodotte con il computer alla fine degli anni ’80, quanto per le immagini realizzate oggi mediante l’impiego di intelligenze artificiali. All’inizio di una nuova tecnologia, il nuovo codice formale può risultare sconcertante; un’estetica che Silvio Lorusso definisce “weird” (Lorusso, 2024, np): “non sorprende che weird sia un parametro integrato di Midjourney, quindi un’opzione, uno stile tra gli altri”. Domenico Quaranta aggiunge che la produzione digitale è intrinsecamente kitsch: “il kitsch digitale è inteso come la modalità predefinita per gli sforzi creativi che utilizzano i media digitali: strumenti che hanno reso l'alfabetizzazione visiva accessibile a tutti e reso banali e comuni le strategie e i linguaggi dell'avanguardia; strumenti che suscitano tecnofilia, piuttosto che un uso critico e informato, e sono caratterizzati da limitazioni e ideologie incorporate che condizionano i loro output creativi” (Quaranta, 2023, 205).

A parte il discorso sulle dita delle mani14, l’aspetto artefatto delle immagini ottenute con le AI ci lascia perplessi, specialmente nella fase sperimentale e agli albori dell’introduzione di una nuova tecnologia che produce un’altra estetica, definita e immediatamente riconoscibile dai suoi caratteri. Oggi come allora i puristi del disegno analogico del carattere storcevano il naso davanti all’aspetto bitmap dei caratteri disegnati con il Macintosh, perché visti come idiosincratici e per via della loro bassa risoluzione: “tuttavia, questi caratteri bitmap e grossolani hanno poi assistito a un grande ritorno”, osserva VanderLans (2001, np).

Accendere la rivoluzione

Ed è allora forse una questione di tempo, quello necessario ad affinare la tecnologia al fine di perfezionarne la resa, tanto quello di noi utenti per adattarci ad un nuovo canone estetico. Queste considerazioni tecno-formali, che a loro volta sembrano avere implicazioni globali e sociali, coinvolgono il ruolo del design e del designer come interprete e mediatore del significato sociale della tecnologia.

La questione etica e morale, in primis dell’attendibilità e veridicità delle immagini create attraverso le AI, ci riporta nuovamente a quesiti già posti durante un’altra transizione, da fotografia analogica a pellicola verso quella digitale. Per Joan Fontcuberta, la fotografia “è una finzione che si presenta come veritiera. A dispetto di ciò che ci hanno inculcato, a dispetto di ciò che siamo soliti pensare, la fotografia mente sempre, mente per istinto, mente perché la sua natura non le permette di fare diversamente” (Fontcuberta 2022, 23).15 Lo scatto fotografico, indipendentemente dall’essere analogico o digitale, è per sua natura intrinseca non oggettiva perché dipendente dalla soggettività dell’autore e dall’interpretazione di chi lo guarda (Camillini e Pierini, 2023, 158-179 e Fontcuberta, 2024).

In secondo luogo, sull’uso improprio di contenuti coperti da diritto d’autore che sono accorpati al fine di generarne di nuovi, sul dibattito aperto a proposito di proprietà del materiale generato sia in input che in output, Ben Ditto afferma che molto presto non ci domanderemo più se un’immagine sia stata fatta con un’intelligenza artificiale, o a chi appartengono i diritti delle immagini combinate dall’algoritmo, poiché la maggior parte dei contenuti presenti in rete saranno immagini realizzate tramite AI (Ditto, 2024). A Ditto fa eco Valentina Tanni (Tanni, 2020, 18): “le opere, tanto quelle del presente quanto quelle del passato, non sono più oggetti intoccabili da contemplare nei musei o sui libri; sono materiali a disposizione”, e il paradigma dell’autenticità e dell’originalità entra ancora di più in crisi se considerati in contesti di massa come i social network e la meme culture.

La tecnologia in generale, le intelligenze artificiali nello specifico, sono oggetto di continuo sviluppo16 e sono un’occasione potenziale di miglioramento a disposizione dell’utente della macchina – l’essere umano-designer: l’uso delle AI è già una pratica abituale dei nostri giorni e acquisirà via via un ruolo sempre più centrale all’interno delle professioni, automatizzandone i processi, in particolare quelli ripetitivi, senza però alterare le regole fondanti – come la leggibilità di un testo, la gerarchia d’informazione di un sistema di segnaletica, o l’efficacia di uno slogan. Esimersi dal loro utilizzo significherebbe essere esclusi sia dal dibattito contemporaneo che dall’evoluzione della disciplina, ed è allora che la paura di essere sostituiti da una macchina può essere sconfitta solo attraverso la conoscenza consapevole e l’impiego competente della macchina stessa.

Se le intelligenze artificiali sono già in grado di analizzare tendenze estetiche e suggerire nuove combinazioni di colori e forme, nell’immediato futuro è possibile immaginare che non saranno solo uno strumento al servizio dei progettisti e delle progettiste, ma potrebbero diventare una sorta di collaboratore creativo in grado di anticipare le esigenze dell’utente e del mercato, restituendo esiti che non siano soltanto visivamente plausibili e frutto di una mediazione algoritmica di ciò che già esistente, ma un risultato ponderato, costituendosi parte proattiva nella fase di progettazione.

L’editoriale di apertura di “Ambition/Fear” rappresenta un altro punto di contatto tra passato, presente e futuro, risultando ancora valido nel contesto contemporaneo: “creare un linguaggio grafico con gli strumenti di oggi significherà dimenticare gli stilemi delle tecnologie arcaiche e ricordare i principi fondamentali del design. Questo è forse il momento più entusiasmante per i designer. La tecnologia digitale è una grande, immensa incognita e, dopotutto, il mistero è la forza più stimolante per liberare l’immaginazione”17 (Licko e VanderLans, 1989, 1).18

Bibliografia

Azari, F. 1927a. Per una società di protezione delle macchine. Roma: Direzione del movimento Futurista, stampatore A. Taveggia

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Camillini, G. 2021. Fortunato Depero and Depero futurista 1913–1927. Soveria Mannelli: Rubbettino.

Camillini, G. 2024. ‘Fedele Azari as Aviator, Gallerist and Publisher: His Takeoff, Rise, Decline and Fall’. In Beghaus, G. (ed.). International Yearbook of Futurism Studies. Berlin/Boston: Walter de Gruyter. Pp. 77-99.

Camillini, G. e Pierini, J. 2023. “L’equivoco fotografico”. In Cicalò E., Menchetelli V., Valentino M., (eds.). Linguaggi grafici. FOTOGRAFIA. Alghero: Publica. Pp. 158-179.

Collarile, L. 1992. Fedele Azari: vita simultanea futurista. Trento: Edizione Museo Aeronautico Gianni Caproni.

Ditto, B. 2024. “Contributo dell’autore”. In Achilli, F. L’eredità di Prometeo. [convegno] Università IULM, Milano, 24 Maggio 2024. [conference proceedings in print]

Fontcuberta, J. 2022. Il bacio di giuda. Fotografia e realtà. Sesto San Giovanni/Milan: Mimesis.

Fontcuberta, J. 2024. Oltre lo specchio. La fotografia dall’alchimia all’algoritmo. Turin: Einaudi.

Hewitt, A. 1993. Fascist Modernism. Stanford: Stanford University Press.

Licko, Z. e VanderLans, R. 1989. Ambition/Fear: Graphic Designers and the Macintosh Computer. Emigre. Issue #11.

Lorusso, S. 2024. “Deepdreaming Willy Wonka: AI Weird as the New Kitsch”. In Hidden Layers Ai & Design Conference June 12 – 15, 2024, held at Köln International School Of Design. Ultimo accesso 11 Luglio 2024.

MacLeish K. & Launois, J. (1972). “The Tasadays: Stone Age Cavemen of Mindanao”. In National Geographic, no. 142, August 1972, pp. 219-249.

Pisa, P. L. (2023). “Chi ha creato la foto del Papa col piumino?”. In la Repubblica. 29 Marzo 2023. Ultimo accesso 11 Luglio 2024.

Quaranta, D. 2023. “Digital Kitsch: Art and Kitsch in the Informational Milieu”. In Ryynänen, M. e Barragán, P. (eds.), The Changing Meaning of Kitsch: From Rejection to Acceptance. London: Palgrave MacMillan e Springer. Pp. 205-228.

Scott, R. 1984. 1984. [Super Bowl Apple Macintosh spot pubblicitario]. Ultimo accesso 9 Luglio 2024.

Stein, S. 2002. “The ‘1984’ Macintosh ad: Cinematic icons and constitutive rhetoric in the launch of a new machine”. In Quarterly Journal of Speech. 88:2, pp. 169-192.

Tanni, V. 2020. Memestetica. Il Settembre Eterno dell’Arte. Roma: Nero.

VanderLans, R. 2001. “A Synthesis of Bitmap Fonts”. In Economy of Means. Émigré. Issue #59: Sezione senza numeri di pagina.

→ Notes
  1. La retorica futurista di celebrazione della macchina non si limita soltanto all’entusiasmo per il progresso tecnologico, ma è anche sinonimo della produttività e dell’ordine dello Stato attorno al quale strutturare il discorso politico fascista che di lì a poco sarebbe divenuto regime. Per Marinetti, l’estetica meccanica spiega il dinamismo e il funzionamento della società futurista (e fascista) ideale, cioè una società produttiva che costituisce uno stato forte e dominante (Hewitt, 1993 e Camillini, 2021, 144-195).↩︎

  2. Nonostante una breve vita caratterizzata da un’intensa attività artistica, poco è stato scritto su Fedele Azari. Sebbene Azari fu una figura piuttosto riservata tra gli egocentrici artisti appartenenti al Futurismo, egli diede un contributo cruciale all’evoluzione dell’avanguardia; lo stesso Filippo Tommaso Marinetti gli affidò il ruolo di segretario generale del Futurismo e lo incaricò di organizzare e curare importanti mostre ed eventi. Sulla figura di Fedele Azari, si veda: Collarile, L. 1992. Fedele Azari: vita simultanea futurista. Trento: Edizione Museo Aeronautico Gianni Caproni e Camillini, G. 2024. ‘Fedele Azari as Aviator, Gallerist and Publisher: His Takeoff, Rise, Decline and Fall’. In Berghaus, G. (ed.) International Yearbook of Futurism Studies, Pp. 77-99.↩︎

  3. Un’affermazione che in qualche maniera profetizzò la morte dell’artista avvenuta nel gennaio del 1930, in seguito ad un esaurimento nervoso durante il ricovero in un ospedale psichiatrico (ibid.).↩︎

  4. Lo spot è stato scritto da Steve Hayden, Brent Thomas e Lee Clow per l’agenzia pubblicitaria Chiat/Day di Los Angeles e prodotto dalla Fairbanks Films di New York con un budget totale di 900 mila dollari, una somma molta elevata per gli standard pubblicitari dell’epoca. È stato trasmesso una sola volta in televisione, il 22 gennaio 1984, durante il terzo quarto della finale del Super Bowl (Stein, 2002, 169-192).↩︎

  5. “Oggi, noi celebriamo il primo glorioso anniversario delle Direttive sulla Purificazione dell’Informazione. Noi abbiamo creato, per la prima volta in tutta la storia, un paradiso di pura ideologia. Dove ciascun lavoratore può realizzarsi al sicuro da invasioni destabilizzanti di verità contraddittorie e arrecanti confusione. La nostra Unificazione dei Pensieri è un’arma più potente di qualsiasi flotta o armata sulla terra. Noi siamo un popolo, con una volontà, una risoluzione, una causa. I nostri nemici dovranno parlare a sé stessi fino alla morte e noi li sotterreremo con la loro stessa confusione. Noi vinceremo!” (Scott, 1984).↩︎

  6. “On January 24th, Apple Computer will introduce Macintosh. And you’ll see why 1984 won't be like «1984»”.↩︎

  7. Emigre è stata una rivista e una fonderia di caratteri tipografici, fondata a Berkeley - California, da Rudy VanderLans e Zuzana Licko nel 1984; fu tra le prime riviste ad essere interamente progettata e prodotta tramite l’utilizzo dei computer Macintosh.↩︎

  8. “Apple Computer sta vendendo il Macintosh facendo credere a tutti di poter produrre design grafico dall’aspetto professionale in modo rapido ed economico. Pensi che questo metta in qualche modo a repentaglio la tua professione?” (ibid.).↩︎

  9. “Everybody can produce graphics on the computer, but that doesn't make them graphic designers. In general, I don’t see a big problem with that.”↩︎

  10. “There is nothing intrinsically ‘computer-like’ about digitally generated images”.↩︎

  11. “Do you think it is possible to create an aesthetic that is based on the restrictions of a technology, with certain inherent qualities of the technology remaining visible, while maintaining individual style?”.↩︎

  12. “How about the Macintosh’s inherent look, low resolution? Will this be part of its contribution to a new design language?”.↩︎

  13. “I do see a lot of work that is unmistakably Macintosh, but it's not necessarily good work. There's a resurgence of ridiculously squeezed typefaces that I attribute to the Macintosh. Most often, these are the ugly designs that you see. The moment it looks ugly, you can recognize the Macintosh”.↩︎

  14. Dita impastate e mani dei soggetti con 6 o più dita sono bug tipici delle immagini ottenute con le intelligenze artificiali, specialmente nelle loro versioni beta.↩︎

  15. Fontcuberta argomenta tale assunto citando come esempio il reportage del National Geographic a proposito di una tribù primitiva che solo successivamente, nel 1986, si scoprì appositamente inventata dal dittatore filippino Marcos assieme all’aiuto di un team di antropologi al proposito di creare un’agenzia governativa dedicata alla protezione delle minoranze etniche, facendo leva sulle fotografie scattate agli indigeni come un documento di una realtà inscenata per tale scopo, con riferimento a MacLeish & Launois, 219-249.↩︎

  16. Si pensi alla frequenza con cui sono rilasciati aggiornamenti e alle migliorie di resa tra le prime e le ultime versioni.↩︎

  17. “Creating a graphic language with today’s tools will mean forgetting the styles of archaic technologies and remembering the very basic of design principles. This is perhaps the most exciting of times for designers. Digital technology is a great big unknown, and after all, a mystery is the most stimulating force in unleashing the imagination” (Licko e VanderLans, 1989, 1).↩︎

  18. Questo studio è da considerarsi come esito dei progetti di ricerca FUN: Roots & Horizons… (Camillini, 2024-) e MADE: Matter of Design… (Camillini, 2025-).↩︎

Fedele Azari, Per una società di protezione delle macchine. 1927. Manifesto. Roma: Direzione del movimento Futurista, stampatore A. Taveggia
Figura 1. Fedele Azari, Per una società di protezione delle macchine. 1927. Manifesto. Roma: Direzione del movimento Futurista, stampatore A. Taveggia
Fedele Azari, Vita simultanea futurista. 1927. Manifesto. Roma: Direzione del movimento Futurista, stampatore A. Taveggia
Figura 2. Fedele Azari, Vita simultanea futurista. 1927. Manifesto. Roma: Direzione del movimento Futurista, stampatore A. Taveggia
Un fotogramma dello spot Apple 1984.
Figura 3. Un fotogramma dello spot Apple 1984.
Schermata dell’account Reddit (si noti la scritta “deleted - cancellato”) di Pablo Xavier, dove l’autore ha pubblicato per la prima volta The Pope Drip, l’immagine del Papa con il piumino.
Figura 4. Schermata dell’account Reddit (si noti la scritta “deleted - cancellato”) di Pablo Xavier, dove l’autore ha pubblicato per la prima volta The Pope Drip, l’immagine del Papa con il piumino.